domenica 15 maggio 2011

Proletari

Prima di franarti addosso le domeniche non avevo un significato particolare, anzi le utilizzavo per studiare. Per recuperare il tempo perso in settimana. Poi mi hai fatto notare che forse i miei buoni risultati scolastici derivavano proprio dalla mia strana concezione della domenica. Eravamo proprio alle prime armi quando me lo dicevi. E adesso che ci siamo scambiati qualche figurina esistenziale, ci assomigliamo da distanti. E ce lo diciamo anche, non è una distanza silenziosa. Che è bello che ci siano queste tracce di noi in uno e nell'altra- che è un po' come avere dei figli, dici tu. E poi mi fai tutto il discorso sul futuro, di non star lì ad aspettare e di farmi una vita altrove. Però se la domenica piove e tira aria da vento, rifletto sul tuo concetto corrucciato di domenica della vita e di te che me lo spieghi e della somiglianza di adesso che è come una prole. Allora decido di spendere del tempo in una libreria, dove almeno lì non piove. E ne vedo di pagine di scritti e penso che dovrei tornare a casa e scrivere anch'io. Che le pagine sono come i figli, che rendono comuni gli individui e li rilegano assieme. E non vuol dire che li relegano in costrizioni, ma li ri-eleggono a un ruolo che non ti aspetti, spesso ben oltre una singola giurisdizione. Ma si può scrivere per dire, per lasciare un solco che ari la memoria, insomma volevo scrivere per riportare. Così riporto quando mi hai scritto: ”Così, vorrei scriverti a proposito di quel che hai scritto tu, sulla nostra condizione di orfani, sulla tua vera, sulla mia,

quantomeno di orfana di noi due. Però so di non poter parlare di noi
due, perché c'è un gran bene che ci unisce, ma un bene espresso in due grandezze fisiche tra loro non commensurabili, e io sono la malattia,
non posso essere la tua medicina. A meno che non si dimostri la
validità dell'omeopatia del cuore, ma dubito che sia scientificamente
dimostrabile. E lo so, mi rispondi che la scienza non è che una
modalità di pensiero.
Che anno pieno, mostruoso nel senso etimologico del termine, di grandezza e orrore al tempo stesso. E non posso, come già detto, parlarne appieno, perché sarebbe come tentare di descrivere la superficie del mare con la testa sott'acqua. Però tu sei
sopravvissuto, sopravvissuto a tutto quello che ti è successo, e hai
ancora il cuore e la mente e i muscoli intatti; ammaccati, ma pur vivi.
Solo questo, dovrebbe renderti fiero di te. Solo questo, mi rende fiera
di te. Perché solo adesso comincio a vedere i contorni di quello che ti
è franato addosso.”
Così riporto queste tue parole e queste altre che avevi messo in calce:
"Eppure amo il mio tempo perché è il tempo in cui tutto vien meno ed è forse, proprio per questo, il vero
tempo della fiaba. E certo non intendo con questo l'era dei tappeti
volanti e degli specchi magici, che l'uomo ha distrutto per sempre
nell'atto di fabbricarli, ma l'era della bellezza in fuga, della
grazia
e del mistero sul punto di scomparire, come le apparizioni e i segni
arcani della fiaba: tutto quello cui certi uomini non rinunziano mai,
che tanto più li appassiona quanto più sembra perduto e dimenticato.
Tutto ciò che si parte per ritrovare, sia pure a rischio della vita,
come la rosa di Belinda in pieno inverno. Tutto ciò che di volta in
volta si nasconde sotto spoglie più impenetrabili, nel fondo di più
orridi labirinti." (Cristina Campo, Fiaba e mistero.)
Le ho capite solo ora, forse.

martedì 10 maggio 2011

Ulisse e la sua nave

Ti ricordi che da piccolo avevo partecipato organizzato dal negozio di giocattoli dove lavorava la mamma. Il paese dei balocchi, si chiamava il negozio. E quanto ero viziato, un gioco al giorno o quasi. Insomma, senza perdere troppo il filo: questo concorso era per chi faceva la migliore delle costruzioni con i lego. Io avevo assemblato qualcosa tra il quadrato e l'informe con dei personaggini posti su sopra un pochettino a caso: Ulisse e la sua nave, lo avevo intitolato. E voi, genitorialmente mi dicevate che era meraviglioso, realistico e geniale e che avrei vinto di sicuro. E infatti poi mi è stato dato il diploma di costruttore lego, che solo adesso che sono grande l'ho capito che veniva dato a tutti i bambini partecipanti. Però se avevo scelto Ulisse e non qualcuno dei Biker Mice e degli Street Shark o degli altri cartoni che mi piacevano molto lo devo a te. E mi accorgo di assomigliarti più di quanto entrambi crediamo. E' vero sì che ho le braccia più corte e che però riempio meglio le tue giacche perché tu sei davvero molto magro, ma comunque le stesse giacche le riusciamo a mettere tutti e due tranquillamente. Poi alla fine, se ci si devono fare i conti il destino, mi sa ce ne usciamo malconci tutti e due in egual misura. Tutti e due alle prese con la colpa di essere ancora vivi e riflettiamo sullo scritto di Jaspers sulla questione delle colpa. Ce ne usciamo tutti e due inquieti e inoltre io me ne sono andato a Trieste, dove soffia quel vento che vero è che stare nelle città così di vento ti fa diventare disaquietare a vista d'occhio. Quel vento che mette a repentaglio la salute di tutti i cardini. I cardini che avevo provato a rompere dicendo che eri troppo borghese e che cosa serviva mandare in chiesa alla domenica, senza mai essere accorto che quei cardini io non li avevo capiti, perché bisogna sempre pur vivere e se ti fa bene sperare in chiesa ben venga, e lo stesso scrivere le poesie e sognare, che è già abbastanza dura svegliarsi tutte le mattine... che scemo a volerti tagliare anche questo. Allora sono sti cardini a tenermi su un pizzico dal vento. Sti cardini che sono Ulisse e la sua nave che si protegge dal canto ventoso delle sirene. E siccome mi continuano a ripetere che la canzone che dice “aspetto domani per avere nostalgia di oggi”, insomma sembro io il protagonista descritto in quella canzone. Allora aspetto di ritornare a casa e di non avere più nostalgia, anche se la avrò sempre: che sia di Itaca, di via Mameli o dell'aspettarti per scrivere un tema. Allora aspetto il coraggio di parlare sinceramente e di ringraziarti per avermi letto di Ulisse per farmi addormentare, perché io avrei letto ai miei figli il frammento di Anassimandro: quello in dice che da le cose hanno, lì necessariamente e che dobbiamo pagare il fio per il debito dell'esser stati vivi. Insomma quel frammento in cui si dice che dobbiamo morire. E se mi avessi letto quello sarebbe stato difficile oggi resistere a questo vento.

Verranno a cercarti con gli elicotteri del suem

Forse non ci ero mai stato in macchina così tanto tempo con mio nonno. E in più c'era anche il suo amico che poi non è così silenzioso come mi avevano detto. Solo che non so come si chiama perché quando mi sono presentato: piacere, Piergiorgio; lui mi subito detto: mi ere tanto amico anca de to nono, quel'altro. Quello di cui porto lo stesso nome, che infatti se ci vai un cimitero lo puoi trovare il mio nome esatto identico. E allora è normale credo, che io non mi ci trova bene alla prese con la morte anche se alla fine salta fuori sempre nei miei discorsi. Salta fuori anche troppo, tanto che hai deciso di aver bisogno di un futuro e che qualcuno ti facesse credere davvero alle finzioni, sebbene tu fossi intelligente da capire che erano solo finzioni. Che faranno anche vivere, ma finzioni. Tipo alla latina, che adesso devi fare anche l'esame di filologia. Insomma finzioni nel senso di creazioni, qualcosa che viene finto, plasmato apposta per vivere. Bene non lo so, ma vivere. E io non progettavo e non guidavo la macchina perché in macchina non ci sono mai stato tempo come con mio nonno e il suo amico. Ti ho chiesto se di me ti eri innamorata e lì mi hai detto che non te ne eri resa conto, che è stato come scalare una montagna e mentre sali non ti accorgi di salire e non guardi mai giù. Poi a un certo punto senti il bisogno di fermarti, di non salire più in quella montagna. Ti manca l'aria e il respiro si fa rantolo, ma questa è l'aria che ci tocca respirare, come direbbe Celan. E invece di buttarci sulla Senna, come ha fatto lui, Celan dico. Hai deciso di scendere, solo che poi ti sei accorta che era come una vertigine che ti faceva paura e che delle vertigini forse non è il caso di darci poi così importanza. Però la discesa di quella montagna l'avevi già iniziata, mi hai detto. Allora ho mandato un elicottero del Suem a cercarti e non ti hanno trovata. Ma io addio non te lo dico e per una volta parliamo bipartisan, e al massimo mi sfugge un se vedon pì veci, come direbbe l'amico di mio nonno.