domenica 24 aprile 2011

Diario di un ospite occasionale

Se non fosse per colpa del mio medico queste poche righe confuse non sarebbero mai nate.
4 giorni fa mi ha prescritto una cura antibiotica che lui stesso ha definito professionalmente da cavalli ,costringendomi alla sobrietà assoluta,che spesso coincide con la noia.
Nel giorno di pasqua,che da anni è sinonimo di bevuta colossale,mi sono  ritrovato così a passeggiare per le vie di trieste senza meta cercando di ammazzare il tempo. Passeggiando con finta serenità ho incontarto le solite bancarelle di prodotti tipici, zeppe di ragazzotti meridionali che ti invitano per un assaggino che io rifiuto sempre,sentendomi una merda se poi non dedido di acquistare il prodotto. Ho virato in direzione del mare,piu per abitudine che per reale voglia di dargli un occhiata. Indeciso se acquistare o meno un gelato mi sono fermato davanti ad un bar,e seduta ad un tavolo c'era una ragazza in lacrime. Lacrime vere, non
occhi lucidi.
E che cazzo,sono fuori da 5 minuti e vedo una ragazza in lacrime,e ancor peggio non a cusa mia.
Per una frazione di secondo mi passa per la testa di andare lì e chiederle se è tutto ok,ma poi mi volto e me ne vado.Come sempre.Allontanandomi da quella gelateria dagli ombrelloni arancioni rifletto sul motivo di quelle lacrime,ma sopratutto cerco di capire perchè una ragazza della mia età,seduta in una gelateria di merda,sola e con le lacrime agli occhi non si possa alzare ed andare a sfogare il proprio dolore da un' altra parte. Penso che se era un uomo che stava aspettando,è una stupida ad aspettarlo. Se sono altre le preoccupazioni non è il tavolo di una gelateria il luogo adatto in cui sfogarsi,ma al massimo quello di un bar. In un viaggio pindarico mi scopro a pensare che qualla ragazza aspettasse me,poco probabile dato che mi ha fissato per un attimo ed il pianto è aumentato. Allontanandomi le auguro buona fortuna pensando che nessuno dovrebbe arrivare al punto di trovarsi in una gelateria,solo e con le lacrime lungo le guancie... non ho finito di pensare a questo che davanti a me si piazza una ragazzina che avrà avuto 15 anni,che gentilmente mi porge un volantino elettorale. Osservandola meglio noto che è affetta dalla sindrome di down e che le riesce persino difficile articolare un semplice “buongiorno, che il suo ruolo in quel luogo è una facciata pubblica, e voltandomi verso il gazebo elettorale,zeppo di freschi candidati alle prossime elezioni intententi a sorseggiare prosecco,l'unica cosa che riesco a pensare è: SIETE MERDE”.

In questi momenti pensi che l'unica cosa che potrebbe tirarti su di morale è una birra,anche calda,ed invece girando l'angolo capisci che quando piove è sempre sul bagnato. Vestiti di tutto punto,con piume e tutto il resto,incontro I soliti indiani che si incontrano alle sagre di paese,tristi e malinconici. Cerco di capire dove possa risiedere la loro tradizione secolare,se nei dischi ai loro piedi (che vendono a 5 euro l'uno) o nella cover di IO VAGABONDO che eseguono accompagnati dalla base midi. Dopo le fabbriche abbandonate,gli indiani nelle piazze sono la cosa che piu mi rende malinconico. Decido che per oggi la mia passeggiata è durata anche troppo e mi dirigo verso casa dove mi aspetta la mia cura antibiotica. Ma prima di aprire la porta di casa sorrido pensando ad un amico che unavolta mi ha chiesto: ma dove finiscono tutti sti indiani quando non ci sono le sagre...io non li vedo mai in giro”.
L'ospite.

martedì 12 aprile 2011

Cinigia

Lì di fronte al focolare è che gli hanno chiesto a Eraclito dove fossero gli dei. E lui, Eraclito dico aveva detto qui e lì, che sono qui e lì, indicando non so dove. Ora invece che gli dei se ne sono andati tipo in ferie, credo visto che c'è il ponte lungo. Allora mi viene in mente quando mi hai detto che comportarsi così tra di noi era come scaldarsi con la cenere. Così io ti ho regalato Ciò che resta del fuoco di Derrida che infatti parla della cenere, cioè di noi. Poi mi anche detto che mi avrebbe fatto bene litigare con qualcuno che mi è vicino perché è evidente che hai problemi con la rabbia, mi dicevi. E io pensavo che magari poteva essere così forse perché avevo avuto una famiglia bislacca ma non troppo e non ci ero stato educato al postmoderno, ma solo a quella tradizione che ogni settimana mi mandava un bollettino a metà tra un bollettino parrocchiale dove si elencano le giovani coppie sposate e tutti quelli che fanno i sacramenti e a metà tra questo e un bollettino di guerra dove si contano i caduti e le madri piangono e i padri sacramentano contro il destino. Perché dev'essere devastante perdere un figlio, lo deve aver detto anche Confucio o forse la Bibbia: me lo ripetevano sempre quando è morta mia madre, che dovevo essere forte perché qui era la nonna che aveva subito lo strappo più forte e che io avevo tutta la vita davanti, esatto, proprio come nel film e allora voglio avere anch'io i capelli rossi come Isabella Ragonese, visto che anch'io ho studiato filosofia. E allora, dico c'era sto stridore tra la mia educazione e i fatti postmoderni e continuavo a non riuscire a litigare. E che sarà mai! Sta sera ci provo a litigare, vediamo...mmhh...con chi? Ok, litigo con J. e fa davvero tant'è che non mi ricordo molto. Solo qualche frase che dopo che mi siam chiariti mi picchetta in testa. Io e te siamo uguali, diceva J., l'unica differenza è che tu non c'hai dei genitori. E allora io continuavo a capirci mica tanto. Però mi continua ad affascinare la cenere e pensare che lo siamo, che lo sono le case dove ho abitato a Venezia. Che le sono andate a vedere, da fuori solo, timidamente, con il rispetto del pellegrino ma senza la sguaiatezza di quelli delle Canterbury Tales. Che lo è questo cielo bello che è quasi ammorbante come l'occhio vispo e strascicato e contornato di ombretto di una prostituta. Che poi diventa cenere anche quando mi immalinconisco e ascolto le canzoni di Piero Ciampi e mi immagino che te le stia dedicando. Ma poi mi passa e chi lo sa dopo che è passato che cosa sia. E poi non è anche in parte cenere la memoria un po' sforacchiata dopo che per anni ci siam fumate le canne? Così poi non ci si ricorda neanche perché avevamo litigato tra amici, ma questo non importa. E che fatica per ricordarsi cosa c'era scritto su quello specchio della vecchia casa. E per fortuna che anche chi è lontano, oltremanica e fuori dal continente si ricorda che nel bagno del chet, che è bar c'è scritto: non indietreggiare mai, a meno che tu non abbia dimenticato la birra. E che cosa resta del martedì grasso, se non un mercoledì delle ceneri? Ma non di quelli dove si va a catechismo ma di quelli del maggio dove si riempivamo gli zaini e si andava al pozzo in campo Santa Margherita sempre a festeggiare. E la gente ci chiedeva: perché festeggiate? Bé, è mercoledì! Non hai un calendario? E poi chi si ricordava di che cosa era successo: le cenere, il cameriere del ristorante di fronte che lo chiamavamo la scatola nera delle nostre serate e il pozzo. Che lo chiamavi “mamma pozzo” da quanto era punto di riferimento. E io continuo a perdere madri.

mercoledì 6 aprile 2011

Hegel

Quello era stato il mio ultimo carnevale a Venezia. L'ultimo da residente mi ripetevano gli altri, non l'ultimo. Spero abbiano ragione. Insomma non poteva che concludersi con un gran male di stagione, così lo chiamano. Una bella influenza, così impari a non farti il vaccino, così mi dicono. Però a dirla tutta, mi ci sta anche bene perché credo di aver esagerato. Insomma non è che si può bere tutte le sere, vabbè che la sete ti chiama spesso e come dice la pubblicità della sprite devi ascoltarla, la tua sete. E poi la mattina dopo, da furbo prima che scocchino le dieci ore passate dall'ultimo drink, cioè il picco dei postumi. Allora prima che passino ste benedette dieci ore e senti che il malessere si fa sempre più vicino che gli senti quasi in fiato sul collo tipo quando nelle corse di ciclismo ti inseguono, come nel giro delle Fiandre che c'è anche Ballan che è il nipote di un tipo che mio nonno gli portava i fuori quando faceva il camionista giù per la bassa, mi sembra di aver capito. Allora prima che arrivino ste dieci ore, mi ciavavo una bella bustina di oki che secondo è il top a livello di antidolorifici e ti stecca per una decina di ore. Giusto il tempo di uscire a innaffiare il corpo di bibite. Così sto carnevale se va via tutto anestetizzato. E poi è chiaro che il corpo si fa delle domande e ti viene l'influenza. Febbre alta e vaneggi come direbbe i giovani di Mestre. Poi, come se avesse ragione Hegel, ecco dopo il momento della negazione, l'influenza che nega l'anestesia emotiva del carnevale tramite il suo malessere tutto fisiologico, si ripropone una nuova positività. Ecco qua un davvero inatteso periodo di buon umore. Che va negato. Allora arrivano la guerra a due passi da casa e non ce se accorge, le scorie nucleari e i discorsi sull'estinzione del tonno. Che se dovesse succedere, l'estinzione del tonno, dico ci rimarrei male male perché è forse il mio alimento preferito. E arriva che una mattina stai facendo colazione e apre la porta della cucina tua nonna con le occhiaie gonfie di lacrime e con in mano una gonna che era sua e le andava bene fino all'inverno scorso e che adesso è il doppio di lei, pur restando la stessa quantità di stoffa che era e che per farla andare bene le ci vorrebbero venti schei in più, almeno. E ti dice, tua nonna che da quando l'è andà via to papà e da quando l'è morta la mamma mi no riese pì a dormir e che le sembra di svanire dentro le gonne. Di dissolversi.