mercoledì 6 aprile 2011

Hegel

Quello era stato il mio ultimo carnevale a Venezia. L'ultimo da residente mi ripetevano gli altri, non l'ultimo. Spero abbiano ragione. Insomma non poteva che concludersi con un gran male di stagione, così lo chiamano. Una bella influenza, così impari a non farti il vaccino, così mi dicono. Però a dirla tutta, mi ci sta anche bene perché credo di aver esagerato. Insomma non è che si può bere tutte le sere, vabbè che la sete ti chiama spesso e come dice la pubblicità della sprite devi ascoltarla, la tua sete. E poi la mattina dopo, da furbo prima che scocchino le dieci ore passate dall'ultimo drink, cioè il picco dei postumi. Allora prima che passino ste benedette dieci ore e senti che il malessere si fa sempre più vicino che gli senti quasi in fiato sul collo tipo quando nelle corse di ciclismo ti inseguono, come nel giro delle Fiandre che c'è anche Ballan che è il nipote di un tipo che mio nonno gli portava i fuori quando faceva il camionista giù per la bassa, mi sembra di aver capito. Allora prima che arrivino ste dieci ore, mi ciavavo una bella bustina di oki che secondo è il top a livello di antidolorifici e ti stecca per una decina di ore. Giusto il tempo di uscire a innaffiare il corpo di bibite. Così sto carnevale se va via tutto anestetizzato. E poi è chiaro che il corpo si fa delle domande e ti viene l'influenza. Febbre alta e vaneggi come direbbe i giovani di Mestre. Poi, come se avesse ragione Hegel, ecco dopo il momento della negazione, l'influenza che nega l'anestesia emotiva del carnevale tramite il suo malessere tutto fisiologico, si ripropone una nuova positività. Ecco qua un davvero inatteso periodo di buon umore. Che va negato. Allora arrivano la guerra a due passi da casa e non ce se accorge, le scorie nucleari e i discorsi sull'estinzione del tonno. Che se dovesse succedere, l'estinzione del tonno, dico ci rimarrei male male perché è forse il mio alimento preferito. E arriva che una mattina stai facendo colazione e apre la porta della cucina tua nonna con le occhiaie gonfie di lacrime e con in mano una gonna che era sua e le andava bene fino all'inverno scorso e che adesso è il doppio di lei, pur restando la stessa quantità di stoffa che era e che per farla andare bene le ci vorrebbero venti schei in più, almeno. E ti dice, tua nonna che da quando l'è andà via to papà e da quando l'è morta la mamma mi no riese pì a dormir e che le sembra di svanire dentro le gonne. Di dissolversi.

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