martedì 12 aprile 2011

Cinigia

Lì di fronte al focolare è che gli hanno chiesto a Eraclito dove fossero gli dei. E lui, Eraclito dico aveva detto qui e lì, che sono qui e lì, indicando non so dove. Ora invece che gli dei se ne sono andati tipo in ferie, credo visto che c'è il ponte lungo. Allora mi viene in mente quando mi hai detto che comportarsi così tra di noi era come scaldarsi con la cenere. Così io ti ho regalato Ciò che resta del fuoco di Derrida che infatti parla della cenere, cioè di noi. Poi mi anche detto che mi avrebbe fatto bene litigare con qualcuno che mi è vicino perché è evidente che hai problemi con la rabbia, mi dicevi. E io pensavo che magari poteva essere così forse perché avevo avuto una famiglia bislacca ma non troppo e non ci ero stato educato al postmoderno, ma solo a quella tradizione che ogni settimana mi mandava un bollettino a metà tra un bollettino parrocchiale dove si elencano le giovani coppie sposate e tutti quelli che fanno i sacramenti e a metà tra questo e un bollettino di guerra dove si contano i caduti e le madri piangono e i padri sacramentano contro il destino. Perché dev'essere devastante perdere un figlio, lo deve aver detto anche Confucio o forse la Bibbia: me lo ripetevano sempre quando è morta mia madre, che dovevo essere forte perché qui era la nonna che aveva subito lo strappo più forte e che io avevo tutta la vita davanti, esatto, proprio come nel film e allora voglio avere anch'io i capelli rossi come Isabella Ragonese, visto che anch'io ho studiato filosofia. E allora, dico c'era sto stridore tra la mia educazione e i fatti postmoderni e continuavo a non riuscire a litigare. E che sarà mai! Sta sera ci provo a litigare, vediamo...mmhh...con chi? Ok, litigo con J. e fa davvero tant'è che non mi ricordo molto. Solo qualche frase che dopo che mi siam chiariti mi picchetta in testa. Io e te siamo uguali, diceva J., l'unica differenza è che tu non c'hai dei genitori. E allora io continuavo a capirci mica tanto. Però mi continua ad affascinare la cenere e pensare che lo siamo, che lo sono le case dove ho abitato a Venezia. Che le sono andate a vedere, da fuori solo, timidamente, con il rispetto del pellegrino ma senza la sguaiatezza di quelli delle Canterbury Tales. Che lo è questo cielo bello che è quasi ammorbante come l'occhio vispo e strascicato e contornato di ombretto di una prostituta. Che poi diventa cenere anche quando mi immalinconisco e ascolto le canzoni di Piero Ciampi e mi immagino che te le stia dedicando. Ma poi mi passa e chi lo sa dopo che è passato che cosa sia. E poi non è anche in parte cenere la memoria un po' sforacchiata dopo che per anni ci siam fumate le canne? Così poi non ci si ricorda neanche perché avevamo litigato tra amici, ma questo non importa. E che fatica per ricordarsi cosa c'era scritto su quello specchio della vecchia casa. E per fortuna che anche chi è lontano, oltremanica e fuori dal continente si ricorda che nel bagno del chet, che è bar c'è scritto: non indietreggiare mai, a meno che tu non abbia dimenticato la birra. E che cosa resta del martedì grasso, se non un mercoledì delle ceneri? Ma non di quelli dove si va a catechismo ma di quelli del maggio dove si riempivamo gli zaini e si andava al pozzo in campo Santa Margherita sempre a festeggiare. E la gente ci chiedeva: perché festeggiate? Bé, è mercoledì! Non hai un calendario? E poi chi si ricordava di che cosa era successo: le cenere, il cameriere del ristorante di fronte che lo chiamavamo la scatola nera delle nostre serate e il pozzo. Che lo chiamavi “mamma pozzo” da quanto era punto di riferimento. E io continuo a perdere madri.

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