Come un vecchio che è lì a guardare i lavori in corso mi sono visto L'odio in francese senza capirne un cazzo. Per poi sentirti dire che era una giornata un po' blues e chiamarti tutto esaltato perché dovevo dirti quanto mi piacevano le parole e i gerghi in generale e immaginarsi un film tutto parlato con i nostri modi di dire. Però poi che venisse distribuito solo all'estero in modo che la comunicazione collassasse come te al compleanno di M. e J. in quel maggio soleggiato in cui tutti avevamo sempre su una maglietta lisa e bianca della salute. Che io ero arrivato tardi perché dovevo stare a Belluno per andare a una messa o a qualcosa del genere. E mi ero anche fatto anche dare un passaggio in macchina da mio papà anche se erano mesi che non ci parlavamo. E adesso che di quel maggio sono rimaste solo le foto che non abbiamo fatto a Santander e io sono in treno a fare su e giù come faceva Di Livio sulla fascia destra quando ero piccolo e la Juve andava bene. Non come ora che ogni domenica sono improperi e lunghi discorsi su cosa si potrebbe fare per cambiare sta situazione che va avanti ormai dall'anno della B. E quella sera del compleanno, che ero arrivato tardi e per una rarissima volta che non avevo con me la pigrizia nel portafoglio abbiamo fatto una fatica boia a cercare un posto dove tu potessi vomitare perché in quel maggio Campo Santa Margherita era mezzo blindato di sbirri per non so più per quale motivo. E quel veneziano che mi voleva dare botte perché diceva che gli avevo pisciato sulla barca e continuava a dire ghe sboro e che noi studenti riempivamo la sua città di piscio. Ma, per fortuna mi sono salvato fornendo la prova inconfutabile della mia innocenza nel fatto che la sua cazzo di barca era asciutta. Allora lui si è scusato e mi voleva abbracciare, ma che vada a farsi fottere, che non avevo tempo da perdere che stavo cercando un posto dove tu potessi vomitare. Poi ci siamo riusciti, a trovare quel posto e poi non c'avevamo più niente da fare e ce ne siamo andati a casa cosicché tu potessi ascoltare bene il mio russare disperato. In quella tua più che legittima rappresaglia. Che mi sta bene per tutte quelle volte che quando tu volevi uscire mi lamentavo e basta e la cosa più carina che dicevo era che volevo bombardare sulla folla. E ora che questo lo fa Gheddafi me ne pento. Ma non si può fare niente perché è tutto così irreversibile. O, in francese Irreversible come il titolo di un altro film francese che non ho mai visto e che forse guarderò in lingua originale per non capirne un'altra volta un cazzo. E chiamarti per dirti quanto sono belle le parole.
domenica 27 febbraio 2011
martedì 15 febbraio 2011
I novantaquattro gradini
La più consueta delle domeniche stomachevoli. Di quelle in cui fai due sorsi della vita e già ti vanno alla testa. Sono andato da mia nonna che mi aveva preparato lo gnocco, che è come un piatto di gnocchi solo che composti in un'unica forma e la parola gnocco lo descrive benissimo quasi che è onomatopeica. Tant'è che siccome io abitavo al mille-nove e settantuno di San Stae e lei, mia nonna era vissuta al mille-nove e ottantotto di San Stae mi ha raccontato di quando hanno rifugiato lo zio Beppi, lì nella Venezia del quarantadue. E non so perché quello zio aveva un nome così veneto anche se era russo e era anche ebreo. Lui aveva anche due lauree entrambe conseguite sotto lo zar, una in ingegneria e l'altra non ricordo in cosa diceva mia nonna. Solo che era dovuto scappare perché tutti i laureati dello zar non erano graditi alla rivoluzione. Insomma dalla padella alla brace, dice lei ridendo. Che quando sempre nella Venezia del quarantadue lui era andato a costituirsi il questore lo aveva visto giù dal ponte di Rialto e gli ha detto dove vai? vuoi diventare sapone? Quindi sapevano, mi dice lei. Per fortuna che conoscevamo il questore perché mio padre era morto in Libia e una vita per la patria ti va sempre fare bella figura. E lo zio Beppi se ne stava in un sottoscala con delle risme di fogli alti così tutti scritti in russo. E io che ero piccola ogni tanto quando salivo le scale avevo tanta paura perché saltava la luce e i gradini erano novantaquattro e quante volte li ho contati non te l'immagini neanche. Perché noi abitavamo al sesto piano che il più luminoso di tutta la salizada e neanche la contessa Baracchi stava bene come noi. Che se vai là e guardi il campanello lo puoi ancora vedere il nome Baracchi. E per fortuna che gli ufficiali non ci hanno scoperto, sennò... lo zio sarebbe morto sotto tortura perché chi te lo dice non era un semplice vecchietto ma che invece fosse una spia? E sai le amiche che abitavano in Strada Nuova, hai presente lì dove c'è quella chiesa sconsacrata tutta a mattoni a vista? Ecco lì le guardie facevano le torture e i loro genitori, delle mie amiche dico, dovevano chiudere le finestre dalle urla che sentivano venire da lì... ecco lo zio sarebbe morto di sicuro perché poi era tutto artritico e che fatica per lui quella volta che era andato fino a Rialto per costituirsi, per fortuna che il questore era nostro amico... e che fatica per lui fare quei novantaquattro gradini quella volta per salire fino su a casa per poi salire ancora nel suo sotto-scala. E che paura del buio per me a fare quei novantaquattro gradini quando non c'era la luce e quando fuori c'erano gli ufficiali ubriachi fradici e le esecuzioni sommarie all'Arsenale. E lo zio che ancora mi prendeva in giro perché avevo paura del buio lungo in alto su per quei novantaquattro gradini quando non c'era la luce. Ancora che diceva chiamalo il buio: buio, buio, buio... ti ha risposto? e allora, vedi che se non ti ha risposto allora non c'è niente da aver paura di questo buio. Credo che in quel periodo la mia vita fosse tutta lì.
lunedì 14 febbraio 2011
La corsa agli armamenti
Era da quando assieme alla particola mi avevano dato la pettorina con su scritto soldato di san Pietro. Per poi dire obbedisco e riempirmi il petto con i gradi del crocifisso, non in legno non sia mai che pensino che nacque tutto dal figlio di un falegname. Il crocifisso da impugnare come un bracconiere di anime... ne ho viste di tutti i colori, cazzo, perfino i giovani fedeli conquistati con i concerti heavy metal, cristo santo. Per armare sempre più le diocesi di provincia, cancro della bestemmia e capricorno delle case chiuse. Nel logorio della provincia stitica che tanto l'ha detto anche il prete: vieni a benedire il castello dell'innominato, vieni don Abbondio! che un piatto di minestra di fagioli c'è anche per te. Siamo l'esercito del grest. Con i mangia-preti pronti a genoflettere il trapianto di cuoio capelluto per garantirsi un altro salto di coronarie, ma con benedizione annessa. L'ortodossia di chi dice a questo non rispondo e i basabanchi che metti un soldo la domenica nella cassetta e l'anima sale in cielo benedetta. I rosari appesi sugli specchietti dei suv e sentir dire che bravo che è quel ragazzo! anche se è pien de schei, guarda che bravo...lui sì che ha ancora dei valori. E il vangelo che è rimasto appeso alla croce. E adesso che sono stanco di aver corso su e giù per i pulpiti e il cuore palpita a stento mi ricordo dell'esercito del grest, della recita a scuola e di gesù bambino da mettere nel presepe curato da cima a fondo. E ora che ho disertato quell'esercito perché a me la guerra non mi andava di farla. Che sento l'alluce che comincia a raffreddarsi ancora risuona la canzoncina sono-un-piccolo-pesce-palla-che-sa-nuotare-a-fondo -ma-sa-stare-anche-a-galla. Siamo l'esercito del grest. Ora che sento anche che il pollice che vien freddo e l'angelo della morte mi chiede se può fare qualcosa per me, vi prego di lasciare che mi indegni fino all'ultimo. Che la mia rivolta metafisica sia sincopata come una drum machine pure nell' al di là. L'imperialismo non avrà vita facile nella mia anima, che se prima fischiettavo heaven can wait ora intono heaven knows i'm a misareble now. Non sarò come Guttuso!
Hey J.
Per tutto sto tempo non ho pensato ad altro che a darci un taglio a ste vene. Mai avrei pensato che mi sarei appassionato a qualcosa dell'attualità al bar. Ma Farag era egiziano e aveva famiglia lì vicino alla rivoluzione nata su facebook, come ci aveva detto lui. E così era nervoso come un cavallo sbrigliato in un film con John Wayne. E J. non lo poteva vedere Faraq stare lì a fumare al telefono. E anche se non era pettinato J. ci aveva un cuore, così una sera lo ha preso in disparte, Farag dico, per dirgli che si sentiva davvero in colpa perché la sua famiglia era da quelle parti così vicina a guerra vera, non di quelle a cui giocavamo da bambini. Anche se la sua famiglia era lì, lui doveva stare in mezzo a gente che ci aveva un bel nulla da dire se non che aveva sete. Ci chiamiamo alcolizzati diceva J. e gli dispiaceva davvero che quello che era così vicino, separato solo da un bancone e da qualche bibita, fosse così lontano. Tipo con la testa dalla sua famiglia nella terra dei faraoni. Diceva J. tutto questo e anche altro e allora Farag lo prende sotto braccio e gli dice qualcosa che nessuno ricorda. E J. gli si rivolge ancora dicendo che lui non sa come fare per aiutarlo e che l'unico modo per aiutarlo che gli venisse in mente era continuare a bere per farlo lavorare. Lo faceva, diceva J. per le sue figlie, di Farag intendo. Ci chiamiamo alcolizzati diceva J. quindi fammi una tequila per favore Farag. Continuava J.. E questa mattina che ho smesso di lamentarmi, ricordamelo J. che ho smesso di lamentarmi così mi potrò lamentare di non lamentarmi. Se lo farò sarà perché sono ancora vivo. Sarà perché non siamo ancora stati deportati sulla terra ferma. Ma mi spiace dover pensare anche all'esilio volontario, anche se spero che un giorno potremmo condurre un programma televisivo tutto nostro e io sarò riabilitato come un principe stonato. Mentre tu ordini, nell'ordine: una tequila e una birra.
domenica 6 febbraio 2011
Frattali
Era davvero un casino. Anche se anche in natura era possibile notare fenomeni di auto-similarità. Però per anni avevo studiato e basta. E avevo capito che non bisognava fare niente ti dicevo. E tu che volevi dare un senso perché lo capivi pure tu che non c'era. Ci descrivevamo come oggetti matematici dal comportamento caotico. E ci rincontravamo come algoritmi ricorsivi. Come ogni giorno è approssimativamente simile all'intera vita e ogni rametto è a sua volta simile al proprio ramo. Così tu avevi letto che la vita è orribile ma i giorni possono essere meravigliosi, sebbene a qualunque scala lo si osservi, l'oggetto presenta gli stessi caratteri globali. Non c'è niente nuovo sotto il sole, lo avevo letto per scherzo nell'Ecclesiaste. Per distribuirci sulla cartina geografica secondo una legge come dei frattali aleatori e raccontarci per scritto delle nuove idee. Viaggiando, per non uscire di casa da un'altra parte e quando ti chiedono com'è andata mostrare una foto sul cellulare e dire così. Che avevo visto solo quello dalla finestra e mi ci ero affezionato. Oppure mimetizzarsi tra i graffiti dei vagoni, sempre sull'ultimo binario a guardare la luna tutti vestiti colorati. Leggendo Viaggio al termine della notte dove dice che “filosofare è solo un altro modo di aver paura e non porta ad altro che a dei vili simulacri”. Impaurito come le silhouette dei cassaintegrati, io che continuavo a rimbarbirmi in un rave di citazioni con le orecchie bendate mentre cantavi the time they are a changhing. Invece di immaginarci lontani dalle sventagliate dei simulacri come frattali in fuga.
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