domenica 6 febbraio 2011

Frattali

Era davvero un casino. Anche se anche in natura era possibile notare fenomeni di auto-similarità. Però per anni avevo studiato e basta. E avevo capito che non bisognava fare niente ti dicevo. E tu che volevi dare un senso perché lo capivi pure tu che non c'era. Ci descrivevamo come oggetti matematici dal comportamento caotico. E ci rincontravamo come algoritmi ricorsivi. Come ogni giorno è approssimativamente simile all'intera vita e ogni rametto è a sua volta simile al proprio ramo. Così tu avevi letto che la vita è orribile ma i giorni possono essere meravigliosi, sebbene a qualunque scala lo si osservi, l'oggetto presenta gli stessi caratteri globali. Non c'è niente nuovo sotto il sole, lo avevo letto per scherzo nell'Ecclesiaste. Per distribuirci sulla cartina geografica secondo una legge come dei frattali aleatori e raccontarci per scritto delle nuove idee. Viaggiando, per non uscire di casa da un'altra parte e quando ti chiedono com'è andata mostrare una foto sul cellulare e dire così. Che avevo visto solo quello dalla finestra e mi ci ero affezionato. Oppure mimetizzarsi tra i graffiti dei vagoni, sempre sull'ultimo binario a guardare la luna tutti vestiti colorati. Leggendo Viaggio al termine della notte dove dice che “filosofare è solo un altro modo di aver paura e non porta ad altro che a dei vili simulacri”. Impaurito come le silhouette dei cassaintegrati, io che continuavo a rimbarbirmi in un rave di citazioni con le orecchie bendate mentre cantavi the time they are a changhing. Invece di immaginarci lontani dalle sventagliate dei simulacri come frattali in fuga.

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