Per i nostri figli iperglicemici non nati in un regime oclocratico, per la loro salvezza e la mia destrezza nel mettere il materasso al posto giusto. Per averti confusa fino alla circonvallazione del senso, per la rotonda della storia che non ho voluto percorrere. Per la storia inautentica che ti cresce addosso, per la scia dei tuoi capelli che sembra, da lontano, reggere il peso della mia vita. Inutile, perché mi sono sputtanato tutto con la borghesia di mio padre, perché è tutto nei tuoi discorsi e nel tuo vestito di fine secolo scorso. E, perdonami se la colpa ricade a te, tuttavia io mi sono fondato su di te a descrivere dei profili inverosimili in cui io avevo paura di fare roba in macchina. E, perdonami se non ti ho consegnato il questionario per la valutazione della felicità. Per le tue R-esistenze e le mie heideggeriane differenze (ontologiche). Per le tue vetrine piene di scarpe e la buona notte con un bacio addormentato. Per il natale odiato che ora è chiuso sotto vuoto, se non per tua madre, amore mio. Per il divenire che trascolora da mutamento a schianto schiavo della distruzione.
Per l'epatite che nota questo cambiamento, questa distruzione: l'umidità di Venezia che mi marcisce.
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