sabato 8 gennaio 2011

Sfollati

Stavamo affacciati alla finestra e guardare tramonti di civiltà e ascoltare le canzoni Aznavuor per pensare a come è triste Venezia. E avevamo occhi aperti ma eravamo già di spalle. E sotto a quel tuo vestito tra il blu e il viola c'era molto di più del secolo scorso. E quel tacchettio che sentivi dietro di te che ero io che ti rincorrevo per la prima volta. E avevo il passo dispari e sgraziato come una Dresna illuminata a giorno anche se tu eri vestita di bianco. Se non ricordo male non parlavamo già fuori-sincrono: non ci si diceva andando al Lido che eravamo come le mozzarelle e che il nostro amore stava ingiallendo e non diventando blu. Perché al tempo non c'erano ancora state le mozzarelle blu ma solo i caschi in Kosovo. Come se niente fosse abbiamo sperato di essere salvati in un bar e poi ci ritroviamo e tu mi dici anche se siamo giovani che speri che l'eterno ritorno ti ridia la tua giovinezza e la mia voce che ti è amica al telefono o in bar. E avevamo occhi aperti ma eravamo già di spalle. E ci siamo attesi come un canto in una casa inagibile e temuti come il grido attorno al quale si è radunata l'umanità. Così abbiamo dovuto essere lacunosi. Hai visto la lontananza che alla fine esisteva mentre io prendevo la pioggia da solo tornando a casa. E gli elenchi che hanno sempre qualcosa di funebre come quando dissero, al funerale di mia madre che per due gocce di pioggia già lei si preoccupava dei figli.

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